“Sembra talco ma non è, serve a darti l’allegria!” Paris Hilton mentre consegna il portacipria ai poliziotti.

Da bambino ero un grande ingenuo, non so perchè ma quando guardavo un cartone immaginavo che gli autori fossero bimbi come me e non adulti dall’immaginazione perversa: viste coi nostri occhi innocenti le serie animate non avevano nulla di strano ma se le esaminiamo oggi ci accorgiamo che erano un concentrato di malvagità e deviazione dell’animo umano. Frustrati sceneggiatori infarcivano le storie delle loro più nascoste passioni con l’unico scopo di plagiare le deboli menti dei bambini di tutto il mondo.

Pollon è una delle più grandi mistificazioni di tutti i tempi: Malgioglio che spaccia a Pupo i suoi gargarismi a base di uccelli africani per degustazioni gastronomiche era un principiante a confronto.

Divinità greche?

Ma non scherziamo, l’Olimpo non è altro che una grossa organizzazione criminale e la giovane Pollon tenta di inserirsi nell’ambiente come spacciatrice di stupefacenti: è accompagnata nelle sue avventure dal giovane Eros, un maniaco sessuale che gestisce il racket della prostituzione. Col suo talco che dona l’allegria renderà felici migliaia di persone e scalerà lentamente l’organizzazione capeggiata dal malvagio padrino Zeus.

Ecco, avete assistito alla recensione di Pollon da parte di un addetto alla censura italiano.

In realtà…

Se proprio vogliamo essere pignoli e vedere il male dappertutto possiamo partire dall’autore Hideo Azuma: il manga Olimpos no Polon viene pubblicato tra il 1977 e il 1979 sulla rivista Princess dell’Akita Shoten e qualche anno più tardi viene prodotto l’anime di 46 episodi Ochamegami monogatari korokoro Poron (più o meno La storia della dea pasticciona koro koro Pollon). Azuma avrà una vita piuttosto turbolenta, con grossi problemi di alcool e un tentato suicidio: abbandonate le leggerezze della piccola dea si dedicherà prevalentemente al genere lolicon.

E sentite cosa dice Liliana Sorrentino, la doppiatrice italiana di Pollon, in un’intervista su Hit Parade Italia:

Chiunque abbia visto anche un solo passaggio televisivo, non potrà non ricordare la celebre filastrocca del talco, il quale, offerto a qualche triste personaggio sventurato serve a ..dargli l’allegria. Ebbene, nella versione originaria la polverina tanto osannata come miracolosa, è nient’altro che una nota droga, polverizzata in piccole dosi. Il malizioso ideatore della serie aveva provocatoriamente attribuito a questo noto stupefacente il potere di dare vigore alle creature “scoraggiate” della serie. In terra nostrana, tuttavia, la produzione nipponica era destinata a ben altra fascia di spettatori. Sarebbe stato quanto meno inopportuno, se non anti-educativo, lasciare che gli intenti originari permanessero sulla Tv destinata ai ragazzi degli anni 80.


Bene, dopo aver risvegliato il bimbo che è in voi e averlo barbaramente ucciso con queste ultime informazioni possiamo inziare a parlare della nostra combinaguai preferita, la piccola Pollon!

Secondo il mio modesto parere Pollon è uno degli anime più famosi, importanti e ricordati degli anni 80 e i motivi sono tanti: prima di tutto ebbe il pregio di raccontare (con mooooolte licenze artistiche) la mitologia greca in modo allegro e scanzonato e lasciando le redini della narrazione ad un personaggio totalmente inventato come Pollon.

Gli amanti della classicità storceranno chiaramente il naso, i temi e i personaggi sono trattati in maniera decisamente demenziale perdendo quel rigore e quella serietà propri dell’opera originale ma nonostante ciò mi avvicinai alla vera mitologia greca proprio spinto dalla curiosità che quel mondo fantastico fatto di creature mostruose e divinità onnipotenti mi aveva instillato. Credo che in molti abbiano fatto lo stesso.

In Italia siamo stati particolarmente fortunati perchè abbiamo potuto godere di due elementi fondamentali per il successo della serie: prima di tutto l’incredibile doppiaggio. Sfido chiunque abbia visto Pollon da bambino a non ricordarsi l’esatta impostazione della voce dei personaggi più famosi: la stridula Pollon, il gracchiante Eros o lo scorbutico Zeus. Leggendo varie interviste ho poi scoperto che molte cose della versione italiana sono “nostre” invenzioni, totalmente assenti dalla versione originale: i vari papino, pennuto, poppante… sono tutti termini ideati di sana pianta dai nostri doppiatori. E bisogna ammettere che senza questa parlata la serie perderebbe molto del suo fascino.

E poi la sigla: gli anni 80 in Italia sono stati particolarmente famosi sotto questo aspetto e Pollon sta tra i gradini più alti. Cantata dal sogno erotico di ogni bambino, Cristina D’Avena, è rimasta in testa a chiunque l’abbia ascoltata almeno una volta. Se invece non l’avete mai sentita provate vergogna di voi stessi e rimediate subito.

Qui la versione televisiva

e qui quella integrale

Grazie a questi fattori la serie ebbe un riscontro fortissimo in Italia e siamo forse il paese nel quale la serie ha avuto più successo in assoluto (esclusa la patria ovviamente).

La serie era assolutamente esilarante grazie all’utilizzo di certi trucchetti narrativi: prima di tutto era un miscuglio totale di culture. Nonostante l’ambientazione fosse quella della mitologia greca ci trovavamo spesso a incursioni nel mondo moderno o nella tradizione giapponese (Pollon che dorme nel futon ad esempio).

Inoltre la caratterizzazione dei personaggi, macchiette parodiate delle divinità originali con risultati a volte totalmente esasperati: fare di Poseidone, colui che governa il mare, un dio che non sa nuotare o Eros, il dio dell’amore, brutto e schifato dalle donne sono tocchi di classe che rendono la serie uno spasso.

Tutte le più famose storie e leggende del mito sono presenti: dal minotauro a Icaro, da Pegaso ad Aracne, tutte raccontate con leggerezza, senza l’originale violenza e con un’immancabile lieto fine che a volte diventa forse troppo sdolcinato.

La storia si può dividere in due grandi tronconi, nella prima Pollon cerca di diventare una dea e nella seconda…beh, è diventata una dea 😐

Il progresso di Pollon viene mostrato mediante un salvadanaio a forma di trono che diventa più grande ad ogni monetina che Zeus le regala, monetine che sono il premio per le sue buone azioni. La seconda parte è in realtà molto meno divertente ma merita comunque la visione.

In Italia la Yamato Video ha rilasciato una bella versione in due box che contiene sia l’audio italiano che quello originale.

Mentre vado ad investigare sulla filastrocca nella versione giapponese vi lascio con l’irritante provino di Pollon a X-Factor!

Brutti tempi gli anni 80, quando il silicone veniva sprecato per sigillare la doccia.

Ok, ammetto di avere un problema, mi piacciono le donne.

Ma se c’è una categoria di persone che è messa peggio di me è quella dei pubblicitari.

Prendiamo ad esempio i genialoidi della Saratoga: il loro ultimo spot (ne riparleremo tra poco) è un delirio tale che nemmeno Hunter Thompson dopo un clistere di LSD e tamarindo avrebbe potuto concepire.

Ma partiamo dagli inizi, partiamo dal 1985: una sensuale ragazza con le vampate di calore e qualche evidente disturbo mentale decide una normale doccia fredda non è sufficiente e decide di sperimentare il sesso con i pesci tuffandosi nel gigantesco acquario di casa. Ma c’è un problema! Riuscirà l’acquario a reggere all’enorme pressione delle chiappe femminili?

E qui arriva in soccorso SARATOGA IL SILICONE SIGILLANTEEEEEE.

Un motivetto tra l’irritante e l’assuefante che legherà per sempre la parola silicone alla topa.

Come se ne sentissimo il bisogno.

Lo spot ebbe un successo incredibile ma il rinnovamento in una grande azienda è necessario.

Nel 2006 viene ripresa la stessa idea con alcune varianti:

  • l’acquario è leggermente più grande di uno domestico e leggermente inferiore a quello di Genova
  • viene cambiata la modella che ha l’incredibile abilità di rimanere pettinata sotto l’acqua
  • viene ingaggiata una speaker con evidenti trascorsi di alcool e droga per cantare il jingle

Ma non è abbastanza, bisogna osare, bisogna trascendere, bisogna andare oltre!

Con la chiusura dei manicomi molte persone si trovarono immesse nella società senza un lavoro, è qui che il settore pubblicitario venne incontro a questi individui. Non si spiega altrimenti il recente spot della Saratoga, non più un silicone sigillanteeeeeee ma una vernice antiruggine.

Lo spot è altamente innovativo: una signora d’alto borgo, in tuta da lavoro (nell’alta società la tuta da lavoro è composta da un abito da sera bianco, tacchi a spillo e collana di perle), sta riverniciando una vecchia gabbia a grandezza umana usata nelle serate sadomaso con gli amici. E’ aiutata nell’impresa dalla BRAVISSIMA Giovanna che, in cima alla scala, raggiunge i punti più complicati: indossa una elegante divisa da pornocolf per niente stereotipata. Il finale non lo svelo perchè merita di essere visto.

E se non fosse abbastanza…

Perciò ricordate, che dobbiate sigillare una doccia o riverniciare un cancello è d’obbligo premunirsi di una (o più) belle tope.

La topa, essenziale per il fai da te.

L’unica rubrica che porta la pace nel mondo!

Diciamo la verità, Carrie Fisher non è mai stata una gran figa.

In questa foto poi farebbe ammosciare pure Rocco Siffredi ad una esposizione di biancheria commestibile.

Sarà la bruttissima acconciatura, sarà lo sguardo imbronciato, sarà che nell’immaginario collettivo la principessa Leia vestita è credibile come una moneta da 6 euro ma qui è veramente difficile arraparsi.

Per fortuna le cose miglioreranno decisamente con le pellicole successive e in quegli anni vedremo un boom delle vendite di fazzoletti di carta: dopo l’uscita del Ritorno dello Jedi le mani dei bimbi non saranno mai più tanto appiccicose in futuro.

Perchè sì, ammettetelo, chiunque sia stato bambino in quegli anni ha ffatto entrare di diritto la principessa Leia Organa (e non Carrie Fisher…) nelle proprie fantasie erotiche. Se non l’avete fatto la spiegazione è che pensavate a George Michael.

Come detto non è mai stata una gran figona però bisogna ammettere che in tutti i momenti in cui sorride guadagna almeno un milione di punti.

Purtroppo le sue dipendenze da alcool, droga e orsetti gommosi unite al disturbo bipolare (che sembra colpire tutte le star di Hollywood, manco fosse l’ultima moda del momento) non hanno reso così grande la sua carriera cinematografica.

A proposito della famosa scena che l’ha consacrata vorrei citare uno stralcio di un pezzo del buon Roberto Recchioni che getta una luce particolare su questo momento del film:

“la sceneggiatura non specifica quanto tempo passi tra la cattura di Leila e l’arrivo di Luke che poi porterà alla sua liberazione (oltre che a quella di Han e di Chewie). In una scena vediamo Leila che viene scoperta e catturata e nella scena successiva vediamo Luke che arriva al palazzo di Jabba, trovando Leila già incatenata e in metal bikini.


Quanto tempo è passato tra un evento e l’altro? A giudicare dal cambiamento dell’atteggiamento di Leila tra una sequenza e l’altra (combattiva alla cattura, sottomessa e remissiva nel suo ruolo di schiava quando Luke arriva a salvarla) sembra che sia passato un tempo abbastanza lungo da spezzare la volontà della principessa. Quali terribili angherie e umiliazioni ha dovuto subire per mano dell’orrido Hutt per arrivare a questo cambiamento?



Il non detto fa galoppare la fantasia dei fans e alimenta il mito feticistico della Leila schiava di Jabba.”


Qui potete trovare l’articolo per intero.

Vi lascio con un’ultima foto che però è davvero troppo sconcia per poterla pubblicare, è decisamente NSFW quindi guardatela a vostro rischio e pericolo.

Cliccami tutta!

E se ve lo state chiedendo, sì sono un gran bastardo.

Prince of Persia

aprile 14, 2011

“Tesoro, potresti venire a salvarmi di nuovo? Credo di essermi persia”

Mi son sempre chiesto perchè nei film e romanzi d’avventura è sempre la donna a farsi rapire.

Possibile che non esista un cattivone di sesso femminile che rapisce lo sfigato di turno e la fidanzata corre a salvarlo?

Io son nato pigro, tra i due preferisco starmene buono in una segreta e aspettare che una bella topa venga in mio soccorso: se mi dice culo magari pure la rapitrice è topa e vinco in ogni caso.

Aspettando che ciò avvenga in un utopistico futuro oggi parliamo di un’altra pietra miliare dell’intrattenimento videoludico, il Principe di Persia.

Correva l’anno 1989: come dimenticare quel periodo, chi aveva un pc lo usava prevalentemente per altri scopi diversi dal giocare ma a poco a poco cominciavano a spuntare diversi titoli anche per questa “piattaforma”. Ognuno aveva la propria collezione di floppy disk, sia i gigantoni da 5¼ che i successivi e meno flessibili da 3½ (anche sui floppy disk bisognerebbe dedicare un articolo…): alcuni giochi erano talmente grandi che servivano dagli 8 ai 20 floppy; non esisteva internet come oggi e gli unici modi per venire in possesso di nuovi giochi erano lo scambio o l’acquisto pirata. Perchè anche a volerli comprare originali i giochi per pc erano quasi introvabili e se andavi dal tuo commerciante di fiducia ti veniva fatta una copia (a pagamento ovviamente) nel retrobottega segreto e umido/polveroso/ragnateloso che veniva usato anche come magazzino per il contrabbando di panda.

Con gli scambi era un altro mondo: si faceva girare la propria “lista” tra amici, amici degli amici, colleghi di lavoro del papà e così via. Si compilavano le proprie richieste e si passava alla contrattazione: e i tempi si dilatavano, in genere se si era fortunati si aveva il gioco voluto in  2 settimane.

Ma torniamo al nostro protagonista, come detto i titoli a quel tempo erano pochi e Prince of Persia ebbe un impatto devastante: non avevamo mai visto nulla di simile e ci riunivamo a casa dell’unico amico che lo aveva giocandoci a turno.

Il creatore di tale perla è Jordan Mechner che qualche anno prima aveva regalato un altro pilastro dei videogame ai bimbi di tutto il mondo, ovvero Karateka: Mechner continuerà a seguire il progetto Prince of Persia anche nelle incarnazioni future, fino a scrivere il primo draft del recente film Disney.

Ma vediamo quali furono i punti di forza del gioco che lo resero innovativo nel suo genere: la storia è quanto di più semplice possa esistere, il malvagio Jaffar soffre di alitosi e la figlia del sultano non vuole saperne di limonare con lui. Jaffar, che in fondo è una brava persona, rapisce la principessa e gli concede un’ora per decidere tra il matrimonio o la morte. Essendo ben lontani dall’invenzione delle fisherman la donzella sceglierà il male minore, ovvero la morte. Quello che non sa è che il suo amato principe è riuscito a scappare dalle segrete di Jaffar e avrà un’ora di tempo per salvarla.

Avremo un’ora di tempo per salvarla.

Un’ora reale.

Possiamo morire mille volte ma la clessidra continuerà inesorabilmente a a far scendere la sua sabbia.

Questo concetto non si era mai visto prima, oltre alla notevole difficoltà del gioco ci si ritrovava a combattere contro il tempo aumentando incredibilmente la sfida, e anche la frustrazione a volte…

Ciò che fece strabuzzare i nostri occhi di bambini però furono i movimenti del protagonista: usando per la prima volta in un videogame la tecnica del rotoscoping (prendendo a modello foto e filmati del fratello di Mechner vestito come un deficiente) il Principe si muoveva con straordinaria fluidità, correndo, saltando e scivolando sul pavimento che manco Tom Cruise in Risky Business.

Il gioco era disseminato di pericoli mortali, gigliottine giganti, botole con spuntoni mortali, pezzi di soffitto che ci cadevano in testa, scheletri che si animavano e gli immancabili sgherri di Jaffar (che andavano uccisi a colpi di scherma, dopo aver trovato la spada in uno dei livelli). Ad un certo punto dovevamo persino confrontarci con la nostra controparte oscura, uno dei combattimenti più difficili del gioco. Da notare l’incredibile (per i tempi) intelligenza artificiale dei nemici che aspettavano pazientemente i nostri attacchi o ci spingevano addirittura verso le trappole.

Il gioco ebbe un successo strepitoso, acclamato dalle riviste dell’epoca, e la fortuna del personaggio non finì qui. Ci fu un seguito qualche anno più tardi, si uscì dalle prigioni del malvagio baffone per affrontare un intero mondo da mille e una notte. Negli ultimi anni c’è stata una modernizzazione del personaggio che è stato sfruttato per svariati titoli in quasi tutte le piattaforme, sfruttando un look terribilmente rinnovato, cupo e intrigante per il protagonista e facendo molto affidamento sulle Sabbie del Tempo capaci di farci giocare con il tempo stesso, riavvolgendolo e rallentandolo. Inutile dire che anche questa nuova serie ha avuto un notevole successo.

Infine lo scorso anno abbiamo assistito alla trasposizione su grande schermo delle gesta del principe: il film è più buonista della controparte videoludica ma in definitiva mi aspettavo molto peggio. Dal trailer pensavo ad una porcata di dimensioni colossali e invece la pellicola è più godibile del previsto, con buone coreografie e soprattutto dei paesaggi davvero da togliere il fiato. Peccato per lo scarso uso delle sabbie del tempo ma è probabile che le rivedremo in futuro in qualche sequel.

Se volete provare il gioco originale vi lascio con questo link: non è identico alla prima versione ma vi fa capire quale fosse la difficoltà (e al tempo stesso la frustrazione) e la bellezza del titolo in questione.

Salva la topona dal cattivone di turno!

Se invece siete pigri guardate come va a finire con questo video, a presto!

Radio 80:la musica che mette d’accordo Giuliano Ferrara e la bilancia!

Non sono un grandissimo fan di Peter Gabriel però bisogna riconoscergli il grosso impegno verso la world music (per la quale ha creato un’etichetta apposita) e per la grande vena creativa che permea i suoi videoclip.

Uno degli esempi migliori è questo singolo del 1986, un vero delirio psichedelico di assurdità e animazioni.

Merito del successo di questo videoclip è soprattutto della Aardman Animation (diventata famosa al grande pubblico anche grazie a Wallace and Gromit) e degli strepitosi fratelli Quay, maestri della stop motion.

Buona visione!

Harpya

aprile 6, 2011

In assoluto la miglior dieta dimagrante.

Ricercando materiale per il mio nuovo progetto mi sono imbattuto in un cortometraggio che vidi da bambino.

Harpya è un corto del 1979, ad opera dell’ingiustamente poco conosciuto Raoul Servais, che vinse addirittura la palma d’oro come miglior corto al Festival di Cannes dello stesso anno.

Quando vedi certe cose ad una certa età ti rimangono per sempre, dopo la visione di questo corto non dormii per giorni ma…non per la paura, ero piuttosto elettrizzato, eccitato, entusiasta di quel che avevo visto: anche questo credo contribuì alla mia futura passione per il fantastico e il cinema in generale.

La storia è abbastanza semplice, un uomo salva una donna che sta per essere uccisa per poi scoprire che si tratta di un’arpia e decide di portarla a casa per allevarla scoprendo però che l’appetito insaziabile della creatura diventerà un grosso problema…

Il fascino del corto è immenso: da una parte la quasi totale assenza di dialoghi che lascia posto ai rumori di sedie che scricchiolano e alla creatura che si ciba; la scenografia minimalista; una costruzione visiva che ingloba surrealismo, impressionismo e astrattismo; infine la particolarissima tecnica di animazione davvero angosciante (forse la scarsa naturalezza dei movimenti li rende spaventosi perchè alieni ad una normalità insita nella nostra quotidianità).

A trenta e passa anni di distanza questo corto mantiene intatto tutto il suo fascino rimanendo una piccola perla del cinema di tutti i tempi.

Godetevelo.

Grosso guaio a Chinatown

aprile 4, 2011

Adoro Chinatown. L’unico posto dove posso entrare in un bordello sfondando il tetto e scappare a cavallo di un fulmine.

Io non so esattamente cosa provino i bambini di oggi andando al cinema. E non so se i genitori li portino a vedere film che non siano l’ultima marchetta di Hollywood con attori famosi che prestano la voce a lungometraggi di animazione. E non so neppure se esistano film con lo stesso appeal di quello che sto per presentarvi.

So solo che quando a otto anni vedi cose simili nella stanza buia del cinema capisci che la vita prenderà una piega diversa.

Siamo nel 1986 e fa la sua comparsa sui grandi schermi Big Trouble in Little China (da noi Grosso guaio a Chinatown, traduzione che perde un po’ il fascino dell’originale ma comunque accettabile) del Maestro John Carpenter: questo signore è uno dei miei registi preferiti e i suoi film sono uno dei motivi per cui amo tanto gli anni 80, per parlare di lui  servirebbe un blog intero, per ora mi limito a esaminare le sue opere singolarmente (e sono tante che meritano).

Purtroppo Carpenter passò negli anni 80 un terribile periodo di scarso successo al botteghino (lo stesso Big Trouble fu un flop) ma per fortuna, grazie anche all’home video, la gente riuscì ad apprezzare il genio di questo artista e ben presto venne rivalutata tutta la sua cinematografia, elevandola al grado di cult movie e consacrando il regista tra le icone di una generazione.

Grosso guaio è un rimaneggiamento di un vecchio script che giaceva nei sotterranei di Hollywood da diversi anni e narrava inizialmente le gesta di un cowboy nella Chinatown di fine 800: la 20th Century Fox assume così il signor W.D.Ritcher per una modernizzazione della storia che trova collocazione nella San Francisco dei giorni nostri.

La storia è un delirio totale: il camionista Jack Burton (Kurt Russell) assiste al rapimento della futura sposa del suo amico cinese Wang Chi e al furto del suo prezioso Pork Chop Express. Per ritrovarli si scontreranno con bande rivali del quartiere cinese, tra potenti stregoni (le tre Bufere) guidati dal potente Lo Pan, passando per segrete infestate da mostri fino al pirotecnico scontro finale.

Partiamo dal lavoro fatto da C. sul film: da sempre amante del cinema di genere il regista qui da pieno sfoggio delle sue abilità riuscendo a mischiare tanti generi diversi in un’amalgama che tiene col fiato sospeso lo spettatore per tutta la durata. C’è di tutto: la commedia, il film d’azione (quasi parodiato con una scelta azzeccata dell’eroe, tra poco ne parleremo in dettaglio), i film di arti marziali orientali e di fantasmi cinesi, l’horror e il western. Si divincola abilmente tra omaggi a Howard Hawks, Tsui Hark e Roger Corman. La critica di quel periodo calcò la mano proprio su questo punto additandolo come uno dei maggior difetti della pellicola, c’era troppo di tutto e il mestiere del regista non era sufficiente a colmare le lacune di uno script debole.

Per fortuna il tempo ha relegato quei buffoni di critici in un angolino buio, a me piace immaginarli con un Nanni Moretti incazzato a fianco che li umilia rileggendo le loro recensioni.

Il film non lascia respiro nemmeno per un secondo: inseguimenti continui, combattimenti, creature mostruose, effetti speciali, esplosioni (verdi per di più!), gente che entra ed esce volando e quando c’è un apparente momento di calma i dialoghi sono scoppiettanti e la tensione è sempre altissima. Non c’è un solo istante nel film in cui i protagonisti stiano con le mani in mano comunicando allo spettatore quel senso di urgenza e di pericolo imminente proiettandolo all’interno della storia.

Parlavamo del protagonista, Jack Burton.

Il lavoro fatto da regista e attore è immenso: se a prima vista il simpatico camionista può sembrare il classico eroe pronto a risolvere la situazione ci si accorge a poco a poco che è solo la spalla. Un eroe che ha il ruolo di comprimario ma che si erge a protagonista grazie all’enorme carisma che sprizza da tutti i pori del suo corpo.Semplicemente GENIALE.  Acconciatura oleosa e impeccabile, magliettina d’antologia, fare impacciato e sbruffone, un coltello di 20 cm nello stivale e tanta voglia di recuperare il suo camion, magari salvando qualche bella donzella nel frattempo.

Più volte lo stesso Russell ha definito il suo alter ego come un’Indiana Jones in cui tutti i problemi sono però più grandi di lui. Spacconaggine e incoscienza. Battute memorabili: il suo “Sono nato pronto!” è storia del cinema moderno. Si butta a capofitto nelle situazioni per uscirne sconfitto quasi sempre, solo qualche colpo di fortuna o l’intervento provvidenziale di Wang, vero eroe della storia, riesce a salvarlo da morte sicura.

Infine di indimenticabile bellezza le due donne del film che sfoggiano 2 stupendi (seppur finti) occhi verdi capaci di ammaliare qualsiasi vecchio allupato su sedia a rotella (e non).

Qualche piccola curiosità per nerd: una delle tre Bufere (il Fulmine) sarà qualche anno più tardi l’ispirazione per il Rayden, il dio del tuono della serie Mortal Kombat (e forse la stessa cosa avviene con Shang Tsung, ispirato dal vecchiardo Lo Pan); nelle scene finali ambientate nelle segrete appare una strana creatura che ricorda incredibilmente il beholder del GDR Dungeons and Dragons.

Le musiche del film sono dello stesso Carpenter (non è la prima volta per lui) e sono decisamente azzeccate, come suo solito, mai banali e sottolineano perfettamente ogni situazione della pellicola.

Io non posso che consigliarvi caldamente il recupero di questo capolavoro, sia che siate amanti degli anni 80 o semplicemente ammiratori del buon cinema.

E ricordate cosa fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell’occhio e dice: “Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura”.


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aprile 3, 2011

Plin plon!

Dato che il blog non andava abbastanza a rilento ho deciso di rallentarlo ulteriormente.

Come?

Ma aprendo un secondo blog ovviamente!

Se vi piacciono le creature fantastiche, se ve la fate sotto ad ogni video amatoriale di dischi volanti, se non riuscite a convincere il mondo che il Bigfoot è l’anello mancante tra vostro fratello e l’uomo…beh, allora Blurred Nightmares è il posto adatto a voi!

DISCLAIMER: il tono del sito è più “serioso”, se vi piacciono solo le cazzate rimanete qui.

Il Calippo

aprile 1, 2011

Il gelato che legalizzò gli atti osceni in luogo pubblico!

Ok, sarebbe troppo semplice parlare del calippo facendo una successione infinita di allusioni e doppi sensi a sfondo sessuale.

Perciò, essendo il sottoscritto uno sfaticato, vi parlerò del calippo facendo una successione infinita di allusioni e doppi sensi a sfondo sessuale.

Però in più ci metto anche qualche foto provocante!

Trovare materiale sul Calippo è stato più complicato del previsto dato che una ricerca veloce ha fatto uscire circa 2 milioni di risultati dedicati a 2 truzze quindicenni di Ostia che compongono la loro dieta estiva di Calippi e bire.

Il nostro ghiacciolo preferito nasce nei lontani anni 80 per opera della mai troppo rimpianta Eldorado, che come abbiamo visto ha fatto una pessima fine, inizialmente nei soli gusti arancia e limone.

Nonostante la maliziosa forma in realtà il Calippo venne modellato come prototipo delle barre di plutonio usate nei reattori nucleari: per simulare l’effetto fusione a freddo il C. veniva venduto ad una temperatura prossima allo zero assoluto. Maneggiarlo senza appositi guanti comportava la perdita delle mani per ustioni. Alcuni vecchi modelli di centrali nucleari dell’affidabilissima Tepco sono alimentati a Calippi.

Il calippo è indubbiamente il gelato della rivoluzione sessuale: se con i semplici coni e cornetti le allusioni erano velate e a volte forzate ogni C. comportava l’apertura di un set mobile di film porno. Ci si trovò nella condizione inversa, anche chi non voleva provocare mangiando un gelato si ritrovava oggetto di aggressione da parte degli allupati nel raggio di 10 Km. Fu così che videro la luce sette segrete, composte di una persona ciascuna, che degustavano il proprio C. in pace in stanzini bui lontani da sguardi indiscreti.

Se da una parte semplificò l’outing anche di molti omosessuali latenti e non, dall’altra complicò terribilmente le cose agli etero che non riuscivano a rinunciare al richiamo del Calippo.

Perchè il C. era buono, buonissimo, e piuttosto che rinunciarvi assistemmo alla nascita di diverse difficilissime tecniche di assimilazione.

Il primo complicato passo era riuscire a staccare il ghiacciolo dall’involucro di cartone che lo conteneva, svariati i metodi utilizzati:

  • il semplice passare del tempo: si aspettava che il caldo cocente facesse il suo dovere, generalmente si comprava il C. la mattina, dopodichè ci si faceva il bagno, si facevano in serie una partita di beach volley, beach soccer, beach tennis con racchettoni, beach hockey e beach bocce; si prendeva la tintarella fino a cambiare la muta 1-2 volte; nuotata con pinna di squalo sulla schiena fino a spaventare 20 bagnanti; doccia finale. A quel punto il Calippo era pronto e si poteva passare alla fase 2, sempre se si riusciva a evitare la fase 1.5 (vedi dopo).
  • il calore forzato: accendini, fiamme ossidriche, barbecue, falò da campo, scorregge incendiarie, tutto ciò che comportasse una fiamma viva veniva utilizzato per accelerare lo scioglimento del ghiacciolo.
  • la forza bruta: si pestava fortissimo sul bancone del gelataio fino all’arrivo della polizia o all’inizio di una rissa, nel secondo caso il Calippo si dimostrava un’ottima arma di uccisione di massa.
  • la tecnica assassina dello “swirl”: si sfregava il Calippo tra le mani, come quando si tenta di accendere un fuoco alla maniera dei boy scout e si scopre dopo 2 ore che avevamo i fiammiferi in tasca. Tale tecnica diventò ben presto proibita, nell’agosto dell’87 fece più feriti dei botti di dieci capodanni a Napoli. Lo swirl aveva una percentuale di riuscita della fase 1.5 del 100%

Dopo il distacco dal cartone c’era quindi la fase 1.5 che, se gestita con prudenza, poteva essere saltata.

L’impeto e la foga utilizzata per far sciogliere il C. se mal gestiti facevano perdere il controllo del cartone che veniva così spremuto con troppa forza e proiettava il Calippo nella stratosfera, nel parabrezza della macchina più vicina o nella propria retina. Quegli anni videro l’esplosione del look piratesco.

Se arrivati fin qui si era ancora in possesso del contenuto del cartone si procedeva ad affrontare il più grande dilemma: COME mangiare il Calippo. Anche qui le tecniche ninja erano innumerevoli.

  • la leccata: tecnica inutile, la temperatura bassissima produceva lo stesso effetto del simpatico della compagnia che lecca il lampione gelato o il pisello della scultura di ghiaccio al matrimonio della cugina.
  • la succhiata: la più ovvia, spesso usata dalle donne come tecnica di corteggiamento o da maschi che volevano esplorare il loro lato femminile. Generalmente finiva con un’orgia sulla spiaggia che veniva presa d’assalto dalle televisioni locali e ci si rivedeva la sera in tv sul notiziario regionale.
  • il total meltdown: si faceva sciogliere completamente e lo si beveva dal contenitore. Un goccio di rum e una spruzzata di lime trasformava il baretto in un dispenser di Cuba Libre.
  • il rosicchiamento: usato spesso dalle donne unito a occhiataccia incazzosa per spaventare eventuali  spasimanti. Come controindicazione richiamava appassionati del BDSM.
  • il risucchiogranita: tecnica complicatissima, si mordicchiava il Calippo all’interno della confezione schiacciando l’apertura al centro con i denti formando una specie di 8 e risucchiando dai lati di questa figura il ghiacciolo sminuzzato in forma semiliquida.

Io ero un fan di quest’ultimo e mangiare un C. richiedeva dalle 2 alle 3 ore.

Quale che fosse il metodo utilizzato una cosa era certa, alla fine ci si ritrovava con le mani talmente appiccicose che ci si lavava con la colla liquida per migliorare la situazione.

Il C. fu proposto in vari gusti nel corso degli anni ma possiamo affermare senza dubbio, dato che il blog è mio, che il migliore di tutti era e rimane anche oggi quello alla cola.

Ovviamente non mi son dimenticato della variante più importante, quella che rese il Calippo il gelato più importante di tutti i tempi: sto parlando del Calippo Fizz.

Il C. Fizz aveva l’aggiunta di misteriose palline bianche che lo rendevano appunto Fizzante provocando una parata di smorfie assolutamente esilaranti: per riprovare quell’emozione addentate un limone davanti a uno specchio e capirete di che parlo.

Purtroppo pochi anni dopo venne ritirato dal commercio, leggende metropolitane spiegano che ciò fu dovuto alla cancerosità, il che ha un suo perchè se ricordiamo il discorso sul nucleare fatto prima.

Oggi la moderna e perfida Algida produce ancora il C. in gusti e colori che sfiorano la psichedelia degli anni 60 e hanno ormai rimpiazzato le palette degli omini che fanno atterrare gli aerei.

Noto ora che il volgarometro non ha raggiunto il massimo durante questo articolo quindi mi vedo costretto a rimediare, alla prossima!

Pass the Pigs

marzo 29, 2011

L’unico gioco che riesce ad essere divertente e una porcata allo stesso tempo!

Ah, i bei tempi quando si era ragazzi e i mille modi di passare il tempo con gli amici.

Se il gruppo era misto si iniziava con l’innocente gioco della bottiglia per poi passare a una sessione di Twister nudi e finire la serata in bellezza con riti satanici in cui si evocavano per sbaglio divinità lovecraftiane.

Se il gruppo era prettamente maschile si passavano le serate davanti a qualche consolle o a guardare qualche VHS porno passata attraverso 16 passaggi di copia e talmente disturbata che il segnale orario era più eccitante.

Se per immane disgrazia saltava la corrente ci si ritrovava a giocare a lume di candela a qualche gioco da tavola.

Un gruppo totalmente femminile esisteva solo nelle mie fantasie e il contenuto è altamente NSFW.

Tra i giochi da tavolo più semplici e immediati c’era il protagonista di oggi, Pass the Pigs.

Pass the Pigs (o Pigmania nella sua incarnazione iniziale) è un semplice gioco di dadi in versione “abbellita”: infatti i dadi in questione sono rappresentati da due piccoli maialini in gomma che vanno lanciati sul tavolo.

In base alle posizioni in cui atterrano vengono assegnati dei punti secondo una tabella: il giocatore ha l’opportunità di continuare a tirare e sommare i punti dei lanci successivi oppure “passare i maiali” ad un altro giocatore. Il rischio è di perdere tutti i punti del turno se i maiali dovessero cadere il primo su un lato (segnato da un punto nero) e il secondo sull’altro lato (senza punto).

Come vedete il giochino è di una semplicità disarmante ed è in tutto per tutto riproducibile con due classici dadi a 6 facce: infatti anche le possibili posizioni dei maiali sono 6. Il fianco segnato, quello non segnato, la posizione sulle quattro zampe, sulla schiena, in verticale sul muso e infine la verticale su muso e orecchio.

Questo giochino viene spesso usato per spiegare i concetti di teoria delle probabilità nelle università (in quelle di campagna si usano dei maiali veri): qui potete trovare un semplice link che spiega in maniera veramente elementare il tutto, anche ai non addetti ai lavori, potete stamparlo e usarlo come lettura rilassante e piacevole prima di addormentarvi.

Il giochino nasce secondo leggende metropolitane dalla mente di tale David Moffat che durante una vacanza in Tedeschia™ riceve da una cameriera dei porcellini di gomma: tale Moffat, essendo un fan di malattie esotiche, tenta la fortuna e si diverte a immergere il maialino nel boccale di birra per vederlo galleggiare. Il passo tra l’evitare di strozzarsi col maiale e lanciarlo e sul tavolo è breve. Siamo nel 1977 e nasce così Pigmania.

Il mio ricordo di questo giochino è che lo trovai in una sorpresa del Mulino Bianco (si chiamava Super Porcellini), una fantastica scatoletta fornita di matita e segnapunti: oggi è ancora in commercio e potete compralo qui.

Esistono svariate versioni online se ancora non avete capito come funzioni il giochino, ve ne linko una semplice e una con grafica maialosa, sperando che l’autore non mi mandi una lettera dai suoi avvocati (purtroppo l’ha fatto con altri siti…).

Esiste addirittura la versione per Nintendo Ds e quella per iPhone…

Io però vi lascio mostrandovi come degeneravano le partite di Pass the Pigs dopo circa 5 minuti di gioco, buon maiale a tutti!